venerdì 11 dicembre 2009

Un gruppo per Facebook

Come potete leggere nei post precedenti dei blog, credo fermamente che un pagano debba chiarire a sé stesso e agli altri perché si sente pagano, cosa sono per lui gli dei, quali sono le sue idee pagane, insomma. Con i blog gratuiti, i siti, i social network chiunque può, basta la volontà e si può anche cominciare dalle piccole cose. Ma è importante farlo perché comunque l'assenza di dogmi e verità assolute sono una prerogativa base del paganesimo e la sua differenza massima nei confronti dei monoteismi. Ma le differenze anche tra pagani vanno spiegate. Non basta leggere un libro di Cunningham, tanto per fare un nome, e seguirlo alla lettera per essere pagani. Bisogna pensare da pagani, e i pagani pensano. Per spronare ancora di più tutti quanti ho creato un gruppo su Facebook, Paganesimo Attivo. Proprio oggi che è il giorno in cui Giuliano cominciava la sua restaurazione del paganesimo.

domenica 25 ottobre 2009

Una distinzione fondamentale tra paganesimo e cristianesimo

Il cristianesimo ha il concetto di perdono. Con il perdono di dio, ottenuto per i cattolici con la confessione, c’è un colpo di spugna: tutto viene cancellato e se c’è una vittima, anch’essa deve perdonare per volontà di dio. Nel cattolicesimo in particolare, basta la giusta combinazione di preghiere comminate dal prete in confessione (e, in tempi in cui la chiesa aveva più potere, qualche soldino). Dopo il perdono, l’anima è pulita. La disciplina della chiesa, che, volenti o nolenti, è quella che determina il cristianesimo, con buona pace dei numerosi cristiani autarchici, preti compresi, che introducono proprie variazioni, non prevede altro: il perdono di dio è sufficiente.
Il paganesimo ha il concetto di espiazione. Leggete i miti: ad un’azione, come ci dice la fisica moderna, corrisponde una reazione uguale e contraria. Chi commette un’azione non lecita deve espiarla: deve fare cioè una serie di azioni che gli permettano di ritrovare sé stesso. Non dipende dagli dei. Dipende da lui. Tocca a chi ha sbagliato dimostrare con i fatti e non con le parole, che accetta le conseguenze di ciò che ha commesso ed è disponibile ad affrontarle. Non è detto che sia pentito: ma affronta ciò che accade, ripara se quello è il modo di espiare, altrimenti trova un’altra strada, ma sempre con la forza di chi costruisce il proprio futuro.

domenica 16 agosto 2009

Il paganesimo non si può scindere da chi lo pratica e racconta

Sto preparando le nuove puntate per il podcast di miti del Giorno Pagano Europeo della Memoria, che riassume, un mito alla volta, le metamorfosi di Ovidio. Così ho avuto l’occasione di constatare ancora una volta come nel paganesimo, al contrario delle religioni monoteiste, non basti leggere il mito ma considerare anche la persona che lo racconta. In Ovidio quasi tutti gli amori degli dei sono stupri; per tutte le Metamorfosi ci sono dei infoiati, con Giove in testa, che zompano addosso alle ragazze. Ma questa è la visione di Ovidio, che era anche il poeta delle opere amorose in cui si sosteneva che la violenza è gradita alle fanciulle.
Questo che vedete sotto è invece un vaso greco, che raffigura l’amore tra Zeus e Leda


Non so voi, ma io lo trovo tenero, e ben lontano dal concetto di stupro.
Purtroppo facciamo evidentemente ancora fatica a staccarci dal concetto di libro sacro: perché Ovidio ha fatto una raccolta di miti non significa che non li abbia scelti, modellati e interpretati secondo i propri gusti e le proprie idee. Così anche per Esiodo, grande misogino, il cui odio per le donne è oggi riconosciuto come una caratteristica personale e non della sua società. Invece dovremmo tenere presente che dietro il racconto di un mito non c’è solo una società, ma anche una persona, che vive il proprio paganesimo, senza libri sacri, ma con valori condivisi con la società (cosa possibile per le società antiche, che nascevano pagane con tutto quello che ne consegue) e idee personali, che rientravano ugualmente nella costruzione del proprio paganesimo. Il poeta o l’artista scelgono di raccontarci un preciso mito in una certa maniera: lo consideriamo già valido per gli autori moderni, dovremmo farlo anche per gli antichi.

venerdì 17 luglio 2009

Politeismo e psiche

"La complessità politeistica greca allude alle nostre complicate e inesplorate situazioni psichiche"



James Hillman, Saggio su Pan, Milano, Adelphi, 1972, p. 14

martedì 14 luglio 2009

Oggi sciopero

http://dirittoallarete.ning.com/

sabato 11 luglio 2009

Borges e il crepuscolo degli dèi

Ho cominciato a leggere un libro, La sopravvivenza degli antichi dei, di Jean Seznec (Bollati Boringhieri, 2008). Tralascio la spiegazione dell’argomento del libro (magari, ma lo dico sempre e poi lo faccio dopo un po’ di tempo, metterò la recensione sul blog di Ritorno ad Alessandria) per arrivare subito al dunque, a quello che mi ha colpito. Alla fine della presentazione del libro, firmata da Salvatore Settis c’è una citazione da L’artefice di Jorge Luis Borges:
Il luogo era la facoltà di Lettere e Filosofia; l’ora, il crepuscolo. Tutto (come suole accadere nei sogni) era indistinto; le cose erano leggermente alterate e come ingrandite. Leggevamo auctoritates; io parlavo con Pedro Henrìquez Ureña (…) Bruscamente, ci stordì un clamore, di manifestazione o di musici ambulanti. Grida umane e animali giungevano dal Basso. Una voce gridò: “Vengono!”, e poi “Gli dei! Gli dei!” Quattro o cinque esseri uscirono dalla turba e occuparono la pedana dell’aula magna. Tutti applaudimmo, piangendo; erano gli dei che tornavano, dopo un esilio di secoli. Ingigantiti dalla pedana, la testa gettata all’indietro e il petto in fuori, ricevettero superbi il nostro omaggio. Uno reggeva un ramo, che senza dubbio si addiceva alla semplice botanica dei sogni; un altro, con largo gesto, protendeva una mano che era un artiglio; una delle facce di Giano guardava con diffidenza il becco ricurvo di Thoth. Forse eccitato dai nostri applausi, uno, non so più quale, proruppe in uno strido vittorioso, incredibilmente aspro, qualcosa tra il gargarismo e il fischio. Le cose, da quel momento, cambiarono.
Tutto cominciò col sospetto (che forse era eccessivo) che gli dei non sapessero parlare. Secoli di vita fuggitiva e ferina avevano atrofizzato quello che in essi c’era di umano; la luna dell’Islam e la croce di Roma erano state implacabili con questi profughi. Fronti basse, denti gialli, baffi radi di mulatti o cinesi e musi bestiali rendevano evidente la degenerazione della stirpe olimpica. Le loro vesti non corrispondevano a una povertà decorosa e onesta, ma al lusso deplorevole delle bische e dei lupanari dei bassifondi. A un occhiello rosseggiava un garofano sanguigno; sotto una giacca attillata s’indovinava la sporgenza di un pugnale. Bruscamente, sentimmo che giocavano l’ultima carta, che erano astuti, ignoranti e crudeli come vecchi animali da preda e che, se ci fossimo lasciati vincere dalla paura o dalla compassione, avrebbero finito col distruggerci.
Estraemmo le pesanti rivoltelle (d’improvviso ci furono rivoltelle nel sogno) e gioiosamente demmo morte agli dei.

La scena è un sogno e come ben si sa nei sogni proiettiamo le nostre emozioni e qualche volta lo facciamo anche sulle persone. Il sogno di Borges ben si presta ad una lettura pagana, sul rapporto tra uomini e dei.
L’uomo di oggi non è in grado, leggo io in Borges, di rapportarsi con gli dei. L’uomo di Borges è chiuso nella lettura delle auctoritates, in latino le autorità, cioè i libri autorevoli. Si dice di autori e opere che sono particolarmente importanti in una certa materia, ma nel Medioevo si trattava di autori e opere contenenti la verità sul mondo. La Bibbia era l’auctoritas per eccellenza. Così quando gli dei arrivano gli uomini stanno cercando e discutendo una verità sul mondo senza sperimentare il mondo; all’arrivo degli dei, nessuno di questi studenti scende a vedere che succede. Cinque dei salgono sulla pedana della cattedra e vengono omaggiati, ma in realtà nessuno si mette in relazione con loro. E quando uno degli dei, Pan probabilmente, lancia il suo grido, nessuno lo capisce più. A questo gli studenti non erano preparati e anzi pensano che gli dei non sappiano parlare. Ma sono loro che non sanno parlare o gli uomini che non li sanno ascoltare? Sono loro che hanno perso le caratteristiche umane o sono gli uomini che non li hanno più vissuti?
L’errore è stato di metterli in cattedra: al richiamo degli dei, al loro fragore, gli studenti, simbolo dell’umanità, non scendono a vederli, ma li aspettano in aula e li mettono su un piedistallo, aspettando da loro la rivelazione che prima cercavano nei libri (e faccio notare che sono tutti divinità maschili). Ma se la religione greca è, come diceva Walter F. Otto, religione della realtà, perché è nella realtà circostante che si ha la teofania, l’apparizione degli dei, che si percepiscono nelle e attraverso le forze del mondo, discorso che può essere esteso a tutte le religioni pagane, allora questi dei che Borges vede in sogno su una cattedra dell’università sono al posto sbagliato. L’umanità che pure vorrebbe recuperarli non è in grado di recuperare gli dei, ma solo la loro forma e una forma “corrotta” da “la luna dell’Islam e la croce di Roma”. La religione monoteista prima e le nazioni monoteiste poi hanno piegato la forma degli dei ai loro scopi, demonizzandoli in parte (alcuni dei hanno “musi bestiali”) e utilizzandoli come allegorie nel migliore dei casi, arricchendone la forma di significati ma appesantendola con significati non propri: ecco il “lusso deplorevole” di cui gli dei sono vestiti, il garofano, il pugnale, che possono anche essere interpretati in altro modo, nel senso cioè che appaiono come il monoteismo li ha dipinti, come immagini del vizio, o, ancora, come immagine della violenza con cui gli dei appaiono agli uomini, una violenza che però in questo contesto può essere espressa solo in senso monoteista (non la forza con cui le onde del mare si infrangono sulla scogliera, ma la violenza assassina, il pugnale). Essi non sono più gli dei degli antichi, ma anche l’umanità non è più la stessa. Ma mentre gli dei si sono in parte adattati alla società (hanno facce “mulatte”), gli uomini non sono in grado di rapportarsi ad essi come ci si dovrebbe rapportare con le forze del mondo. Del resto, chiusi nell’università, che mondo avrebbero potuto sperimentare? E così trattano gli dei come il dio cristiano, che viene posto su un piedistallo, al di sopra di tutti e da cui ci si aspetta rivelazione e giudizio. Quello di sostituire un dio con molti dei è un pericolo reale nel paganesimo attuale, che può essere scongiurato solo con la comprensione della profonda differenza tra quel dio e gli dei pagani, cosa che alcuni pagani tendono a trascurare temendo forse di eccedere nella teoria a scapito della vita, ma così perpetrando la separazione tra mente e corpo che dovrebbe essere più tipica delle religioni monoteiste.
E’ nei confronti del dio monoteista che si prova paura; è nella religione monoteista che si prova compassione ma nel senso di commiserazione, di pietà nel senso peggiore del termine, la pietà sterile, non nel senso latino della parola che indica il rispetto verso gli dei così come verso gli altri uomini. Ma mentre il dio cristiano è distante, anche gli uomini di Borges capiscono in qualche modo che questi dei non lo sono, che sono passioni ed emozioni in grado di distruggere gli uomini, se questi le affrontano con paura o con quel senso di superiorità che deriva dalla commiserazione. Ecco perché all’uomo non resta che distruggere questa immagine degli dei che si è creato (non dimentichiamo infatti che si tratta di un sogno e tutto ciò che sogniamo è una nostra proiezione) e questa azione viene fatta con gioia e senza averla desunta da qualcuna delle auctoritates che gli studenti leggevano all’inizio. Si spara agli dei, o meglio a quella loro immagine, non perché le auctoritates dicono di farlo, ma come scelta deliberata basata su un istinto, un’emozione, una percezione che nasce dentro gli uomini. Ma gli dei qui rappresentano appunto le passioni, le emozioni, perciò gli uomini, sparando alla falsa immagine degli dei, in realtà scelgono in favore dei veri dei, quelli che vivono nei loro cuori e in nome di ciò agiscono.
Un pagano dovrebbe allo stesso modo rifiutare l’immagine degli dei che gli viene proposta dal monoteismo e scoprire la vera natura degli dei pagani, non importa a quale tradizione pagana appartengano. Un’altra interpretazione che si può dare a tutto il sogno è che quegli dei così conformati a quello che il mondo monoteista (la luna, la croce, ma anche gli studenti che li mettono sul piedistallo in attesa della rivelazione) e così trasformati da esso non siano altro che il tentativo del monoteismo stesso di sopravvivere in altre forme, conservando la sostanza del monoteismo (la rivelazione, la dipendenza dal divino, la paura e, in definitiva, la distruzione del futuro del genere umano) anche se non la forma.
Comunque sia, con quello sparo, gli dei vincono. Sempre che l’umanità non si ostini a trovare qualcos’altro da mettere sul piedistallo invece di vivere.

domenica 19 aprile 2009

Pagani e libri / 2

Senza nulla togliere alla Gimbutas, alla Murray, a Walter Otto, a Kerenyi a Dumezil e a tutti coloro che hanno effettivamente dato un contributo notevole alla nascita del paganesimo moderno, bisogna comunque collocarli nella loro epoca. In un prossimo post tornerò ancora sull'argomento, parlando di un libro di Walter Otto che ho scovato nella mia biblioteca (scritto nel 1923 e pubblicato in Italia per la prima volta nel 1976). In sostanza, anche questi autori si basavano sulle evidenze di cui erano in possesso all'epoca, alcune delle quali sono state superate dopo: Marja Gimbutas sapeva all'epoca che i Kurgan avevano una società patriarcale e che erano aggressivi e bellicosi. In seguito sono state trovate tombe di donne guerriere e numerose fortificazioni difensive e non offensive della stessa popolazione; si è scoperto che guerre tra popolazioni avvenivano anche prima dell'arrivo degli Indoeuropei questo però spesso i pagani che si rifanno alla Gimbutas non lo sanno e proseguono imperterriti a parlare di una religione femminile pacifica soverchiata da una maschile bellicosa.
La colpa non è mica tutta dei pagani: è anche colpa del mondo accademico che tiene per sé le sue scoperte, cercando di fare una specie di èlite e difendendosi dicendo che "tanto alla gente queste cose non interessano", argomento ampiamente contraddetto dal successo delle conferenze di Andrea Carandini a Roma. I libri pubblicati sono di difficile reperimento, sono molto costosi e non tutti possono accedere a una biblioteca universitaria, dal momento che quelle civiche si concentrano sul grande pubblico e preferiscono acquistare magari qualche copia in più del romanzo del momento (anche se non si dovrebbe sottovalutare la sezione locale che quasi tutte le biblioteche civiche hanno e che magari raccoglie pubblicazione della regione o della provincia altrettanto introvabili). Però comunque non si può fare di un autore una bibbia, lo ripeto.
D'altro lato, mancano oggi nel panorama pagano delle teorie che possano reggere il confronto: forse perché oggi il paganesimo è diventato più immediato e perché spesso si rifiuta l'elemento intellettuale. Tuttavia, non essendo noi isolati dal mondo, siamo costretti a confrontarci con esso, non possiamo lasciare che a farlo per noi siano i bignami o i manuali in stile "wicca per negati". Secondo me è urgente che ogni pagano dia voce, e anche forte, al proprio paganesimo. Una delle caratteristiche fondamentali del paganesimo è il politeismo e la pluralità di voci e un bel modo di segnalarlo anche verso il mondo esterno sarebbe proprio questo.

Pagani e libri / 1

Qualche tempo fa discutevo con un'amica pagana di come nel paganesimo italiano manchi una certa "serietà" nel trattare argomenti che sconfinano in campi come la storia e l'archeologia. E' un discorso che mi avete probabilmente sentito fare spesso e sul quale torno sempre (ebbene sì, sarò noiosa, ma ci tengo veramente): manca alla stragrande maggioranza dei pagani un metodo critico di esposizione e per questo il paganesimo rischia di rimanere al palo, bollato come una cosa da ignoranti, da sempliciotti (una volta un tale mi ha detto che se avessi studiato storia del diritto, non mi sarei dichiarata pagana!). Non voglio che il paganesimo sia oggetto di studio nel modo in cui lo è una cavia da laboratorio, perché il paganesimo certamente va sentito e vissuto, ma che cos'è il paganesimo? In pochi hanno elaborato chiaramente un proprio pensiero a riguardo e lo espongono con chiarezza che non sia da "manuale delle istruzioni": se ci fate caso in Italia, negli ultimi anni, che libri sono usciti sul paganesimo? Tanti wicca, con tutte le istruzioni per l'uso degli strumenti, per la chiamata degli elementi, per la celebrazione di sabba ed esbat, e al massimo i 13 beliefs, ormai elaborati negli anni '70 (e si vede), più qualche summa, qualche bignami sulle religioni antiche, come quello della Rangoni pubblicato da Xenia, nel quale si ritrovano affermazioni improbabili, come l'attribuzione al paganesimo etrusco della qualifica di religione rivelata, o superate, come l'ennesima riaffermazione dei sacrifici dei bambini da parte dei cartaginesi.
Ecco, a proposito di questo: archeologi come Sabatino Moscati o Paolo Xella, tanto per citarne due grossi, hanno lavorato a lungo sul problema e hanno tratto quelle conclusioni riportate anche nel video che ho fatto per Youtube su Moloch, dal quale ho dovuto cancellare i commenti perché ero stufa di stupidaggini. Possibile che anche in questo campo i pagani attuali debbano rimanere indietro di secoli? Se ci vogliamo ispirare o agganciare alle religioni antiche non possiamo confondere noi stessi con loro, ma almeno nello studio dobbiamo essere precisi, scientifici. Citare le fonti, ad esempio (e rendendomi conto di questo, dalla puntata di questo mese, sulla pagina di Fontes potrete trovare l'elenco dei volumi consultati per preparare la puntata). Esiste un modo chiaro e corretto per esporre anche le proprie opinioni e i pagani, stretti d'assedio come sono, avrebbero quasi il "dovere morale" di impararlo. In questo, possiamo aiutarci tutti a vicenda.
Purtroppo però c'è ancora gente che tratta ogni libro come la bibbia dei cristiani: siccome lo ha detto la Gimbutas/la Murray/... allora è sicuramente così. Proprio per l'ultima puntata di Fontes sono andata a controllare la data di pubblicazione di "Il dio delle streghe" della Murray: 1933. Un po' vecchiotto, no?

domenica 1 marzo 2009

Persefone in Sicilia / 4

Ultima parte dell'articolo su Persefone in Sicilia, con la bibliografia:

  • E. Ciaceri, Culti e miti nella storia dell'antica Sicilia, Catania, Battiato, 1911
  • E. Manni, Sicilia pagana, Palermo, Flaccovio,
  • Dizionario dei culti e miti nella Sicilia antica, Palermo, Istituto di storia antica università di Palermo, 1996
  • L. Polacco, I culti di Demetra e Kore a Siracusa, in "Quaderni ticinesi di numismatica e antichità classiche", 13 (1984), p. 21-41
  • G. Martorana, Kore e il prato sempre fiorito di Enna, in "Kokalos", XXVIII-XXIX (1982-83), p. 113-122
  • Cicerone, Verrine
  • Diodoro Siculo, Biblioteca storica
Non mi sono annotata le versioni usate di queste ultime due opere, ma le indicazioni dovrebbero essere comunque sufficienti ad identificarle. Approfitto per ricordare l'importanza di riportare un elenco dei libri consultati nella stesura di un qualsiasi scritto e, per i pagani, di distinguere l'opinione, la percezione, l'esperienza pagana della religione, dai fatti attribuiti all'antichità. Altrimenti, attribuendo al passato una miscela di esperienze personali e letture antiche, il paganesimo rimarrà sempre al palo, bollato come il solito minestrone new age con poca serietà.

mercoledì 25 febbraio 2009

Persefone in Sicilia / 3

La psicanalisi segue però schemi mentali che alle persone sono imposti da un cristianesimo che terrorizza gli uomini con lo spettro della morte; non è così per i pagani. Rimaniamo dunque in ambito religioso per parlare ancora di questa Core, la cui figura in Sicilia finisce per sovrapporsi a quella della madre Demetra, tanto che nel pinax di Locri è lei a reggere il grano. Sempre in Sicilia, vediamo che di lei si celebra non solo la risalita, quando il frutto del grano matura, ma anche la discesa e le nozze con Ade; la scomparsa di Core nella terra non è un periodo di lutto. E non sono motivo di lutto le nozze di una fanciulla che ne segnano la maturazione. Core vuol dire fanciulla. E cosa fa una fanciulla? Cresce, e nella sua crescita fa maturare alcune cose e altre le lascia dietro di sé, periodicamente fa morire qualcosa. Così accade per le persone e per le piante, il cui seme dev’essere sepolto affinché la pianta rinasca. Si tratta sì di un’iniziazione, ma non vi è nulla di segreto o misterioso, nessuna elite di iniziati: iniziato in questo caso è semplicemente colui che percepisce il carattere divino di ogni nuovo inizio. Questo è Core: è il ciclo di morte e rinascita che tutti noi attraversiamo ogni giorno. Non tanto la crescita, concetto espresso più che altro da Demetra, che ad esempio a Siracusa è celebrata quando il grano comincia a germogliare. Fra l’altro Demetra è talvolta considerata anche colei che diede agli uomini le leggi, un altro strumento che, come il grano, garantisce una crescita prospera alla città. Core è qualcosa che tocchiamo con mano ogni giorno; il concetto di cambiamento ciclico viene spesso associato ad una dea anziché ad un dio e il motivo dovrebbe essere chiaro. Rimane ancora un punto poco chiaro: se Core era una divinità predemetrica della terra non coltivata, perché viene interpretata dai greci come figlia proprio della dea dell’agricoltura? Potremmo fare un’analogia con quanto accade per la genealogia di Zeus: Zeus e le titanesse danno origine all’espressione nel mondo razionale di quanto quelle titanesse rappresentano nel mondo emotivo o come concetti assoluti. Ad esempio, con Temi, la giustizia intesa come equilibrio nel mondo, Zeus genera Dike, la giustizia secondo le leggi; con Mnemosine, la memoria, genera le Muse, il mezzo con cui la memoria si tramanda alla ragione. Così anche il grano/coltivato si esprime attraverso lo stesso meccanismo di morte/sepoltura del seme e rinascita che ritroviamo nella natura spontanea: così Core è il ciclo della natura che si ripresenta nelle coltivazioni che danno all’uomo l’abbondanza. Persefone-Core era per i greci la fanciulla che raccoglie i fiori e che presiede al ciclo: niente di più ovvio che l’abbiano identificata con una dea locale che ne ha assunto le caratteristiche, pur essendo in origine diversa e probabilmente maggiormente legata al ciclo della natura in sé, comprendente il coltivato e lo spontaneo, piuttosto che all’agricoltura soltanto.
[Fine dello scritto, nel prossimo post seguirà la bibliografia]

mercoledì 18 febbraio 2009

Persefone in Sicilia / 2

Il culto di Core aveva centro in Sicilia soprattutto fra Enna e Siracusa; l’uso del nome Core o Cora, in greco “fanciulla”, piuttosto del nome Persefone, che è invece quello utilizzato dall’inno omerico a Demetra, ci dice già qualcosa sulla differenza tra questa figura divina com’è percepita in Sicilia e com’è percepita in Grecia, sebbene i greci stessi la collocassero in Sicilia. Non dobbiamo infatti dimenticare che gli dei pagani non sono come il dio dei cristiani, che è fisso, immutabile anche nelle sue rappresentazioni, poiché ne esiste una versione ufficiale, che è quella del libro sacro. Gli dei pagani sono rappresentazioni della percezione che abbiamo del mondo circostante: per questo la loro essenza, o se preferite le loro funzioni, variano a seconda delle città in cui se ne pratica il culto: pensiamo ad esempio all’inedito accostamento tra Era ed Afrodite fatto nella città di Acre, colonia siracusana in Sicilia. Oggi, che comunità pagane paragonabili a quelle antiche non ne esistono più, il cambiamento è a seconda del pagano che le descrive. Quando infatti diciamo che Demetra è la dea delle messi, stiamo facendo una semplificazione, per farci capire, ma Demetra è il concetto stesso della messe, dell’abbondanza, della crescita: tre concetti diversi in realtà, ma a quale di questi corrisponde la nostra percezione di Demetra. Oggi che noi pagani ci stiamo riprendendo la percezione delle divinità nel mondo circostante e in questo ci rifacciamo alla percezione degli antichi, ci troviamo di fronte ad un doppio compito, che è quello di capire le figure divine antiche da un lato, e dall’altro il modo in cui noi percepiamo e se percepiamo quelle stesse figure nel mondo attuale.
Torniamo però a Core: ormai nessuno più dubita che nel culto di questa dea greca si siano mescolati elementi greci ed elementi pre-greci, data la forza con cui questa dea si è radicata nel cuore degli abitanti della Sicilia. Innanzitutto non è chiamata Persefone, che è il suo nome da dea ctonia, ma è chiamata “fanciulla”; a Siracusa e Agrigento si celebrava la Theogamia o Anakalyptèria, le nozze sacre tra Core e Ade, nozze che altrove non vengono mai ricordate per la preminenza che Demetra finisce per assumere nel culto, anche quello dei misteri eleusini. Ad Enna invece c’era una statua della dea che forse non poteva essere vista dagli uomini, mentre il poeta Carcino, originario di Agrigento, scrisse della “figlia di Demetra, che nessuno può nominare”. Inedito è anche l’accostamento di Core ad Atena e Artemide, che Diodoro Siculo spiega raccontando un altrettanto inedito mito di un’infanzia comune alle tre dee, così come comune sarebbe stata la decisione “di rimanere vergini”. Non approfondisco ora l’uso del termine “vergine” in greco, né la valenza di queste ulteriori due figure divine, ma pare che si tratti di una tradizione orfica; dato che alle dee venivano dedicati luoghi ben precisi in Sicilia, ad esempio un’isola, a Siracusa, sacra ad Artemide che vi dava anche responsi oracolari, cosa non usuale per la dea greca, potrebbe anche trattarsi di una sovrapposizione o meglio di una fusione tra dee greche e dee locali. Riassumendo, abbiamo una dea fanciulla, accostata ad altre due dee fanciulle, di cui, a differenza che le altre due, si celebrano però le nozze, oltre alla sua discesa e risalita. E’ inoltre una dea legata alle acque (la sorgente Ciane), e una dea della sovranità: riceve la Sicilia in dote dal padre Zeus al momento delle nozze con Ade, è definita, come Demetra, “grande” e, come accade anche in Magna Grecia, è rappresentata in trono. Un pinax, cioè un piccolo bassorilievo votivo, di Locri, la raffigura seduta sul trono accanto al marito, mentre regge in mano un mazzo di spighe di grano. E’ significativa anche la descrizione del luogo da cui Core sarebbe stata rapita che leggiamo sempre in Diodoro Siculo: un luogo bellissimo, pieno di fonti e fiori dal fortissimo profumo, un prato che è quasi un giardino e che secondo alcuni studiosi potrebbe indicare un legame della dea anche con l’ambito della guarigione; secondo altri invece il riferimento a fiori non coltivati, poi impiegati anche per le ghirlande del culto farebbe di Core una trasformazione di una divinità precedente addirittura a Demetra, dea invece dell’agricoltura, per cui la verginità di Core altro non sarebbe che la verginità della terra non ancora toccata dall’aratro. Studiosi moderni che leggono invece il mito in chiave psicanalitica, ritengono il prato un’immagine del mondo dorato dell’infanzia, al quale il mondo adulto, Ade, la morte, prima o poi ci strappa.

mercoledì 11 febbraio 2009

Persefone in Sicilia / 1

Persefone è una divinità particolare: il suo andare e venire dall’Ade, come ricorderete se conoscete il mito, è lo specchio dell’andare e venire della bella stagione, la stagione del raccolto. Quando Ade rapì la figlia di Demetra, la dea infatti rinunciò a far crescere le messi finché non ebbe ritrovato la figlia, la quale poi divide l’anno tra la dimora della madre e quella di Ade, diventato nel frattempo suo marito. Al di là di questo, Persefone compare nei miti classici ben poche volte: ad esempio a lei Ercole sacrifica un toro presso la sorgente Ciane, vicino a Siracusa, per ringraziarla di avergli permesso di prendere Cerbero per completare le sue fatiche. Anche questa fonte è tuttavia legata al mito principale e potremmo dire unico di Persefone: la sorgente Ciane si sarebbe infatti originata dal pianto di una fanciulla del seguito di Persefone, quando quest’ultima sarebbe stata rapita proprio in quel posto.

Esistono dunque miti che collocano più volte Persefone in Sicilia e in effetti qui, e in parte anche in Magna Grecia, cioè nella parte peninsulare meridionale d’Italia colonizzata dai Greci, il culto di Demetra e Core, com’è il nome qui utilizzato della dea, è molto vivo e molto particolare; come vedremo in chiusura di trasmissione, qualcosa di esso è vivo ancor oggi in Sicilia. Diodoro Siculo, storico greco del I sec a.C., scrive (V, 4): “Gli abitanti della Sicilia, avendo per primi goduto della scoperta del grano grazie alla loro familiarità con Demetra e Core, istituirono per ciascuna delle dee sacrifici e feste, chiamandoli con il nome di quelle” e più avanti, sempre parlando degli abitanti della Sicilia, “stabilirono infatti il ritorno di Cora nel periodo in cui il frutto del grano giunge a maturazione; celebrano il sacrificio e la festa con uno zelo e una purezza grandi quanto è verosimile ne manifestino coloro che sono stati scelti da tutti gli uomini per ricevere i doni più grandi.”

venerdì 6 febbraio 2009

"Il dio di..."

Una delle cose che le persone si chiedono troppo poco quando si discute di problemi di tipo religioso è "Che cosa intendi dire con...?", ma danno per scontato che quanto detto sia quello che essi vogliono o credono che sia.
Che cosa vuol dire quando si dice, ad esempio, che Poseidone è "il dio del mare", Dioniso "il dio del vino" e così via?
Per un cristiano, un dio è qualcosa di separato da ciò che governa dall'alto. Come dire "l'autore del libro": l'autore è diverso dal libro, che è una sua opera, che gestisce come vuole. Sono due cose separate del tutto.
Per un pagano, un dio è dentro le cose, anche dentro agli esseri umani (il daimon, i geni, le iunones...), il dio è il modo in cui esprimiamo una qualità della cosa stessa, la sua parte divina. Come dire "lo scintillio dell'oro": la brillantezza non è l'oro, ma è una sua qualità, una parte di esso. Ed è quello che rende bello l'oro.

mercoledì 4 febbraio 2009

Nomi greci, divinità romano-italiche

Una delle cose che più mi affascinano della ricerca nel paganesimo e nello studio di quello antico è andare a scoprire l'essenza delle divinità antiche e in particolare andare a verificare il meccanismo detto dell'interpretatio, cioè dell'interpretazione di un dio, che viene "tradotto" da una cultura all'altra. Il rapporto tra paganesimo greco e paganesimo romano-italico va ancora oltre: i Romani assumono molto profondamente i nomi delle divinità greche per le proprie divinità, tanto che oggi ci è indifferente dire Giove o Zeus e non percepiamo invece le differenze profonde che ci possono essere, anche perché i Romani stessi, una volta fatta l'identificazione, assumevano anche i miti della divinità greca corrispondente alla loro (qualche volta li collocavano anche geograficamente in Italia, cosa che ha fatto anche qualche mitografo greco, per svariati motivi che non approfondisco qui) e quindi generavano loro stessi la confusione.
In effetti in molti sono convinti di questa identità, tanto che quando ho pubblicato su YouTube il documentario "Ercole, un dio dei popoli italici" ho ricevuto critiche e in qualche caso anche insulti perché "Ercole è una divinità greca con un nome latinizzato" e "è da stupidi credere che Ercole sia una divinità nata in Italia". Bisogna distinguere due punti di vista sulla questione: il punto di vista del linguista e dello storico delle popolazioni indoeuropee e il punto di vista del pagano. Per un linguista o uno storico, affinché due Dèi siano considerati uguali, occorre che il nome dimostri una derivazione. Se leggete Gli Indoeuropei e le origini dell'Europa, di Francisco Villar (ed. Il Mulino, consigliatissimo), leggerete che Giove o Zeus è l'unico dio che può essere con certezza detto indoeuropeo perché ha un nome che condivide con altri Dèi di popolazioni indoeuropee: dal punto di vista del linguista non si può dire che un dio è indoeuropeo solo perché le varie popolazioni indoeuropee hanno tutte un dio con determinate funzioni (come faceva invece Dumezil). Quindi un linguista può anche dire che Giove e Zeus, Eracle ed Ercole ecc... sono la stessa divinità. Diverso è il punto di vista del pagano: per un pagano un dio rappresenta una porzione di mondo la cui parte divina viene percepita come unitaria anche se legata alle altre parti (lo so, come definizione non è chiara, ma magari in qualche appunto successivo mi verrà qualcosa di meglio), perciò posso anche "tradurre" un dio da una lingua/cultura ad un'altra, così come traduco le parole. Mi sto un po' impantanando, quindi faccio un esempio: mettiamo che io sia un mercante romano in viaggio ad Este, in Veneto. Qui c'è un grande tempio dedicato ad una dea che viene molto onorata dalle persone locali, però io non conosco questa dea e quindi chiedo ad un collega del posto informazioni. "E' la dea Reitia" mi dice "le ragazze creano dei tessuti in suo onore e a lei chi impara a scrivere nel suo tempio dedica stili e tavolette con inciso l'alfabeto", io mercante romano rispondo "Ah, noi quella dea la chiamiamo Minerva che è la dea delle arti" e vado ad onorare la dea che per me è Minerva.
Oggi ovviamente non possiamo più dire che i Veneti onoravano la dea Minerva, perché l'interpretatio era corretta in quel contesto, ma oggi la distanza storica e la cesura imposta dal cristianesimo ci portano a recuperare completamente, per quanto possibile, le culture antiche. Così adesso conosciamo il meccanismo della sovrapposizione o interpretatio e stiamo attenti alle sue trappole: vediamo che Minerva e Reitia sono anche legate alla medicina, ma Minerva è il gesto del medico che applica la sua arte nella guarigione, Reitia è il processo di guarigione stessa, che dobbiamo probabilmente immaginare come un fluire (forse il nome deriva da una radice che indica "scorrere", ma comunque la dea è legata ai fiumi e alla scrittura e la scrittura, si sa, "fluisce" attraverso la penna). Se non avessimo testimonianze venete sul nome della dea, ma solo quella del mercante romano, probabilmente oggi diremmo che i Veneti onoravano Minerva, però magari ci accorgeremmo che è una Minerva un po' diversa da quella romana.
Così è successo anche per alcuni dei romano-italici che hanno perso il loro nome in favore di un nome greco o greco latinizzato. In questo senso "Ercole, un dio dei popoli italici" era anche una provocazione, perché sotto il nome, e in qualche caso gli attributi, di un dio dal nome greco, si nasconde una figura divina diversa da quella greca: un linguista dirà che è la stessa cosa, un pagano no, perché la diversità corrisponde ad una percezione diversa del mondo. In questo caso, Ercole si è sovrapposto probabilmente a diverse divinità locali con caratteristiche simili (la forza, la protezione dei viandanti e anche il legame con le acque), ma non identiche all'Eracle greco, tanto che ci sono notevoli differenze. Su questo però ho fatto un documentario per YouTube e un CD-ROM, per cui mi fermo qui.
Nei prossimi giorni posterò sul blog, magari a puntate, un altro esempio, quello del culto di Persefone-Core in Sicilia, e nel corso della vita di questo blog ci sarà occasione di ritornare sui temi, per il momento buttati lì, dell'interpretatio e della differenza basilare tra paganesimo greco e paganesimo romano-italico.

domenica 1 febbraio 2009

Appunti Pagani: un blog personale

Giusto ieri ho caricato online la nuova puntata di Fontes, il podcast di cultura pagana di Radio GPM, che questo mese parlava di "I Pagani e le leggi sulla libertà religiosa"; ho concluso la trasmissione invitando tutti i Pagani a diffondere il proprio pensiero sul paganesimo. Il discorso era più o meno questo: il paganesimo non viene riconosciuto dal punto di vista sociale come una religione, oppure lo si confonde con un cristianesimo in offerta speciale, più dei al prezzo di uno e in omaggio anche le dee. Non si mette in risalto la differenza sostanziale delle due religioni, a partire dal concetto stesso di religione per proseguire poi con il rapporto con il mondo, il binomio spirito-materia e così via. Perciò il mio invito verso i Pagani era quello di non limitarsi a diffondere liste di dei o descrizioni di pratiche rituali, ma di riflettere sull'essenza del paganesimo, su quello che si considera paganesimo e provare ad esprimerlo. Credo che tutti i pagani abbiano la capacità di farlo; magari non ne hanno la fiducia o l'abitudine, ma volendo possono senz'altro.
A questo punto però mi sono fatta la domanda: e io? Io ho una mia idea di quello che è il paganesimo, gli dei, ecc..., ma raramente questa emerge bene nel mio lavoro per il progetto del Giorno Pagano della Memoria, che al momento seguo praticamente da sola, perché non vorrei che la mia idea fosse presa per una specie di dogma (chi ha frequentato gruppi di discussione di pagani sa che il fraintendimento, o l'attribuzione ad altri di volontà e scopi sulla base di pregiudizi magari verso un termine usato), e che si pensasse che solo chi è d'accordo con quella particolare idea può celebrare il Giorno Pagano della Memoria. Chiunque può partecipare al progetto se ne condivide gli scopi e l'idea alla base della sua nascita.
Restava però il fatto: non facevo quello che avevo appena suggerito di fare, di diffondere riflessioni su cos'è il paganesimo. Allora ho creato questo blog, Appunti Pagani: qui posterò, mano a mano che mi vengono in mente, parti di alcuni miei scritti già pubblicati sul web oppure ancora nel cassetto, sul tema, riflessioni sparse, articoli di cronaca, brani di lettura. Tutti gli appunti che insomma mi vengono in mente di fare sul paganesimo. Sarà quindi un blog personale, aperto alle discussioni. Buona lettura.