domenica 29 settembre 2019

Riflessioni equinoziali

Qualche riflessione stimolata dal rito dell’equinozio di ieri, ma ricollegata ad alcune altre esperienze altrove. Se qualcuno si riconosce,  non si offenda: la mia non è una critica, non c’è un giudizio di merito e ritengo che ognuno sia libero di seguire il sentiero che preferisce per arrivare dove ritiene di dover arrivare. Mi limito a prendere atto di certi atteggiamenti in cui vedo comuni bisogni insiti nell’uomo o meglio inculcati da una certa cultura che finisce per plasmarli e, cosa che più mi preme sottolineare qui, inquinare il paganesimo nei suoi principi radicalmente diversi dal monoteismo imperante.
Quello che notavo è che alcune persone, e sono abbastanza, che si avvicinano o sono all’interno dell’ambiente pagano, amano in modo talvolta esclusivo tutte le pratiche che si suppone vadano ad aumentare le capacità psichiche dell’individuo:
telepatia, chiaroveggenza e spiritualità in genere. Faccio un esempio che per me è semplice perché sono appassionata di pietre e cristalli (solo che preferisco le teorie di Gienger a quelle del filone della Raphaell): queste persone sceglieranno  ametiste, ossidiane, labradoriti, acquamarine, lapislazzuli e cristalli di rocca, tutti in qualche modo legati a cose come l’apertura del terzo occhio, la connessione con i mondi superiori ecc… Da qui mi viene spontaneo fare alcune osservazioni su quelli che per me sono atteggiamenti solo parzialmente pagani, ma che inconsapevolmente rischiano di riprodurre dinamiche monoteiste sotto un’altra etichetta:
Un mondo superiore
Si ricerca una connessione ad un mondo superiore, quale? Spesso sotto questa etichetta finiscono concetti insegnati nell’infanzia monoteista e trasposti in una visione del mondo che a questo punto non è interamente pagana: esisterebbe quindi il mondo superiore degli dei e di esseri sovraumani e il mondo inferiore che è quello terreno. Io non credo in questa divisione di mondi: il mondo è uno ed è quello che percepiamo: se percepiamo gli dei in esso, dal filo d’erba che cresce ostinatamente in una crepa all’oceano, bene, altrimenti non trovo l’utilità di andarli a cercare altrove.
Un aiutino...
Nel desiderio di connettersi ad altri mondi o ampliare la propria percezione, c’è talvolta l’idea di non essere abbastanza (o che questo mondo non sia abbastanza, come se lo conoscessimo a menadito, come se fosse triviale) e al tempo stesso di dover ricorrere a “prodotti” esterni per raggiungere i risultati. Questo lo vediamo in molti campi della vita anche non pagani: la pastiglia per dimagrire o per aumentare i muscoli invece di conoscenza e disciplina per quanto riguarda nutrizione e allenamento, la caffeina per aumentare la concentrazione e fare la nottata di studio prima dell’esame invece di imparare a padroneggiare il proprio tempo per imparare definitivamente nozioni anche difficili, la richiesta agli altri di sintetizzare il proprio pensiero perché non si ha voglia di leggere un paio di pagine o non si riesce più perché siamo disabituati dai testi elettronici e dall’uso distratto dei media; o ancora, al contrario, l’abbandono di questa o quell’attività che desidereremmo tanto fare, ma per cui non siamo portati, non abbiamo talento, quando invece dovremmo, piuttosto, praticarla di più per diventare bravi. Quindi invece di portare con pazienza le proprie capacità psichiche nella vita di tutti i giorni (e accettare che percezione ed empatia possano fare molto male e non essere immediate o scontate), si preferisce ricorrere a pietre, incensi ed erbe. Niente di male se uno le utilizza perché gli piacciono e ci si trova bene, ma non da questi dipendono i nostri “risultati”. Ad un seminario di cristalloterapia ricordo una signora che mi ha fatto un po’ di tristezza perché era rigidissima con sé stessa, desiderosa al massimo di imparare “le regole” dell’uso delle pietre e tutta compresa nella paura di non usare la pietra giusta invece di rilassarsi ed ascoltare.
Rilassarsi ed ascoltare
Rilassarsi ed ascoltare: qualità dimenticate in questo tipo di ricerca. Invece di ascoltare veramente, cioè di mettersi in attesa e osservare, si tendono disperatamente le orecchie nel tentativo di recepire un segnale da quei cosiddetti mondi superiori, che ci provi che siamo bravi, siamo nella direzione giusta, stiamo diventando “spirituali” come se essere materiali fosse un male anziché la nostra natura. Che cos’è questo se non un travestimento di un più banale bisogno di riconoscimento? Come animale di branco, l’essere umano ha bisogno di riconoscimento e tende alla ricerca dell’approvazione, ma su una radice biologica si innestano derive psicologiche che possono prendere diversi aspetti, dal più comune sforzo per piacere a tutti, magari a scapito di noi stessi, alla ricerca di una validazione da parte del “divino”. In un’ottica pagana, non è il divino che deve scendere dal cielo per riconoscerci bravi, siamo noi che vivendo nel mondo dobbiamo riconoscere gli Dèi. Altrimenti è come ammettere che gli Dèi esistono per l’uomo e non per sé stessi, come dovremmo fare innanzitutto anche noi.
Tutto sotto controllo?
Così anche tutta questa attenzione per viaggiare tra i mondi, la divinazione, la chiaroveggenza, spesso sono una manifestazione del bisogno di sentire le cose sotto il proprio controllo. La tragedia greca antica ci rappresentava il fato come una forza terribile, ma la tragedia è letteratura, illustra e imbastisce fantasie sulle nostre paure e ansie e ce ne illustra conseguenze o sviluppi anche portandoli all’estremo. La letteratura funziona così: cosa succederebbe se…? Non è che perché il fato sia rappresentato come temibile che, nella vita e nell’elaborazione di un sistema religioso pagano, dobbiamo temerlo sul serio anziché cercare di comprenderlo. Nella religione greca antica, il fato è ineluttabile non perché sia una sequenza di decisioni già prese, ma perché è semplicemente la rete che collega tutte le cose, Dèi inclusi, e tirando un filo se ne tirano altri inevitabilmente. Non conosciamo tutti i fili che verranno tirati dal nostro perché non abbiamo una visione d’insieme per quanto possiamo cercare di ampliare la nostra il più possibile, e non conoscere tutte le conseguenze dei nostri gesti fa paura, ecco perché il fato è temibile. Questo però non può paralizzarci nell’azione, non possiamo restare immobili finché non avremo compreso tutte le conseguenze della nostra azione: possiamo allargare la nostra conoscenza, possiamo riflettere, possiamo valutare e ponderare, ma prima o poi dobbiamo agire  e mettere in moto uno dei fati possibili.
Il ruolo dell'umano
C’è poi una valutazione secondo me eccessiva dell’intervento umano: l’attivazione dei cristalli, il caricamento degli strumenti, la benedizione o la purificazione vengono considerati in quello che per me è un senso unico. Cioè si considera solo l’intervento umano sulla cosa, che viene “perfezionata”, e non il senso contrario dell’intervento umano su sé stessi per meglio lavorare con quella cosa (cristallo, strumento, spazio...). Sicuramente l’intento e l’attenzione alla cosa sono fondamentali e sono alla base del concetto pagano di religio,  che è lo scrupolo, l’attenzione verso le pratiche cosiddette religiose, senza la quale la pratica diventa superstizione, ovvero qualcosa che sopravvive al suo scopo e significato. Ma questa attenzione è prima di tutto un lavoro sull’uomo che opera: io raccolgo la mia attenzione sul cristallo, sullo strumento, sullo spazio ecc… e mi preparo a lavorare con esso. Non è il mio “fluido magico” che per effetto delle parole si trasferisce sulla cosa: quest’ultimo è un concetto che ci deriva dalla magia rinascimentale, quando l’uomo a immagine del dio cristiano si mette al centro del mondo, ed è una derivazione della teurgia neoplatonica e storpiamento del concetto di homo faber, l’uomo che forgia il proprio destino. Torniamo al bisogno di controllo di cui sopra.
L'atteggiamento del pagano
Alla luce di tutto questo, confrontandomi con queste persone in un certo verso simili e per molti versi diverse da me, ritengo che un atteggiamento pagano debba essere innanzitutto nel mondo e nel corpo. Nel mondo, intendendo un mondo che non è diviso in materiale e spirituale, basso e alto, ma che comprende percezioni e intuizioni, la loro esperienza, accettazione e anche trasformazione in descrizione razionale, che per quanto possa essere parziale (ma si può sviluppare anche questa: leggendo, ad esempio, per trovare le parole più vicine ad esprimere quello che proviamo) serve per la comunicazione e il dibattito, altrettanto fondamentali perché ci consentono di crescere. Nel corpo, perché la spiritualità non è in una mente o peggio ancora in un’anima che si trova nel corpo per caso, ma è nelle nostre connessioni neuronali, nell’ippocampo, nell’amigdala, nel sistema limbico, nella flora batterica intestinale, nei muscoli ecc… Usiamoli e curiamoli come cureremmo la nostra mente o anima, gli antichi questo lo sapevano bene e loro erano “pagani” sul serio, mica come noi che siamo cresciuti in una cultura monoteista che è quella che poi accentua quel bisogno di riconoscimento da parte del divino a cui accennavo sopra. Decine di ricerche scientifiche oggi dimostrano che così come usiamo la mente per “dominare” il corpo (es. per distrarci da un dolore), possiamo usare il corpo per “dominare” la mente (es. il lavoro delle mani, il respiro, l’esercizio consapevole, per frenare paure e ansie).
Oltretutto, quest’ultima è una tecnica sempre più diffusa che prende il nome di mindfulness nella moda contemporanea e che per l’appunto è supportata da molte ricerche scientifiche (per i principianti consiglio Dell’arte della meditazione di André Christophe, un testo semplice e accattivante, a parte i capitoli finali che escono un po’ dal seminato). Che la società stia cercando sollievo inconsapevolmente nei principi pagani rispetto ad un monoteismo, inteso come ideologia e non come semplice adorazione di un dio unico, sempre più soffocante?

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