lunedì 21 luglio 2014

Fidarsi degli dèi: traduzione dell'articolo originale

So che vi avevo promesso il commento alla dichiarazione dell'ECER; invece sono successe delle cose che mi hanno 'smontato' da questo punto di vista, perciò vi propongo invece la traduzione integrale, con il permesso dell'autore, dell'articolo "Fidarsi degli Dèi" di John Halstead, uscito in inglese sul blog di Patheos. Ho commentato questo articolo in precedenza in quest'altro post; vi invito comunque a leggere l'articolo, di cui ho riprodotto anche i link e fino in fondo, perché se è vero che ci sono cose su cui si può non essere d'accordo (la distinzione che fa tra cristiani e antichi israeliti, ad esempio, o la definizione che dà di Afrodite Pandemos e Afrodite Urania) o che stridono con la situazione italiana ed europea (cos'è un neopagano junghiano? cos'è un politeista devozionale?), ci sono comunque passaggi che secondo me sono ben azzeccati. Si riporta anche una interessante definizione di cosa sia un Dio di Gilbert Murray, studioso a Cambridge, che sarebbe anche questa da riprendere e analizzare. Intanto, buona lettura.



Perché non mi fido degli Dèi (almeno, non se sono da solo con uno di loro)
25 giugno 2014, John Halstead. Leggi l'articolo originale
Sono un Neo-Pagano Junghiano, il che significa che, dal punto di vista teologico, ricado a metà tra i Pagani atei e i politeisti devozionali per quanto riguarda l’esistenza degli dèi. Collocando le mie convinzioni ‘nel mezzo’ non intendo privilegiare le mie credenze, ma solo sottolineare che sono in accordo e in disaccordo con entrambi i gruppi a proposito di diverse cose. Una cosa su cui sono d’accordo con i politeisti devozionali è che gli dèi debbano essere presi sul serio. Una cosa su cui non sono d’accordo con molti di loro è che ci si debba necessariamente fidare di loro.
Prendere gli dèi sul serio

A volte mi preoccupa il fatto che noi Neo-Pagani non prendiamo abbastanza sul serio i nostri stessi dèi. Anche se posso non essere d’accordo con i politeisti devozionali sulla natura metafisica degli dei (sia che si tratti di “esseri reali, indipendenti e senzienti” o di archetipi reali, indipendenti e semiconsapevoli), una cosa che ammiro di loro è la serietà (il loro ‘essere pii’ se volete) con cui si accostano agli dèi. Ronald Hutton ha notato che una delle caratteristiche distintive della stregoneria Neo-Pagana è la ‘consacrazione del gioco’. Come afferma L’Incarico della Dea, “gioia e venerazione” hanno entrambi un ruolo importante nel Neo-Paganesimo. Questo è un ammirevole contraltare alla cupa seriosità di molta liturgia cristiana. Ma c’è un tempo e un luogo per ogni cosa e a volte sembra che il nostro divertimento tolga importanza alla nostra religione.
In più, a volte noi Neo-Pagani banalizziamo i nostri dèi. Lo facciamo con molta della nostra arte – considerate come, nell’arte pagana che si trova su Internet, le dee assomigliano a delle Barbie o a supereroine dei fumetti. Il volume di Barbara Ardinger Finding New Goddesses: Reclaiming Playfulness in Our Spiritual Lives (Trovare nuove dee: rivendicare la giocosità nelle nostre vite spirituali) è un altro buon esempio della banalizzazione degli dèi. Mentre il libro della Ardinger era forse inteso come parodia, c’è più che un nocciolo di verità nel suo tratteggiare i Neo-Pagani come cultori di ‘divinità trovate’ come ‘Spendifera dea dei centri commerciali’. E poi c’è la pratica Neo-Pagana eclettica di ‘usare gli dèi’ come strumenti, pratica che è stata definita ‘gli dèi attacca-e-vai’ o ‘il rubinetto degli dèi’. Queste banalizzazioni dell’incontro con il divino hanno incoraggiato una sorta di reazione negativa nella nostra comunità, in parte spingendo alla crescita del politeismo devozionale – che per me è un bilanciamento alquanto necessario agli eccessi di un Neo-Paganesimo eclettico e scherzoso. Il desiderio di prendere gli dèi sul serio è, penso, quello che ha alimentato una fazione del dibattito sul Supereroe nei blog pagani l’anno scorso e la più recente discussione che è nata dal post di Morpheus Ravenna su come i rituali potrebbero essere differenti se prendessimo gli dèi più sul serio.
Gli dèi meritano venerazione?
Così come sono preoccupato per la banalizzazione degli dèi, come Neo –Pagano Junghiano sono altrettanto preoccupato quando si dà per scontato che gli dèi siano benevoli. La fiducia acritica può essere anche una mancanza di rispetto. La parola ‘worship’ deriva dall’Antico Inglese che significa ‘degno’ [n.d.T.: cioè worthy; non essendoci un equivalente gioco linguistico in italiano, traduco worship con venerare che equivale più o meno al misto di rispetto, reverenza e culto vero e proprio espresso dalla parola inglese]. Mi chiedo quindi perché di rado si senta chiedere se gli dèi pagani meritino venerazione. Per vederla da un altro punto di vista, perché dovremmo dare per scontato che ci si possa fidare degli dèi? Quando ho fatto la domanda ad alcuni politeisti devozionali in passato, l’hanno spesso percepita come priva di senso. Ho avuto risposte che andavano dal “perché io ho fede che ci si possa fidare di loro” al “Perché possono staccarti le braccia e usarle per picchiarti”. La prima per me sa di monoteismo, e la seconda è una falsa causa (e anche un controsenso). John Beckett ha scritto degli Dèi come modello di virtù. Ma non sono anche modelli di vizio? Io sono d’accordo con John Opsopaus secondo cui “Gli Dèi non sono ideali morali”. Gli Dèi politeisti, per come io li vedo, non sono necessariamente buoni né sempre benevoli. Se bisogna dar retta ai miti ad un qualsiasi livello, gli Dèi sono imperfetti come gli esseri umani – hanno solo maggior potere. Perché inchinarsi al potere se non è accompagnato dalla virtù?
Una risposta forse è che gli dèi dovrebbero essere venerati perché sono – allo stesso modo in cui la natura può essere venerata.  La venerazione (o il rispetto, se preferite) è la risposta umana naturale alla natura. La natura non è morale o virtuosa, e non ho nessun problema a venerarla. Ma venerare qualcosa e fidarsi di essa sono due cose diverse. Non do neppure per scontato che la natura sia benigna o affidabile. Perché dovremmo dare per scontato che gli dèi siano affidabili. Venerarli, lo capisco. Ma affidarsi a loro? Sospetto che per alcuni politeisti devozionali, questa fiducia si costruisca attraverso l’esperienza, creando una relazione con gli dèi (quello che credo i Greci chiamassero kharis). Ma nella mia esperienza, come Neo-Pagano Junghiano, gli dèi sono tutto tranne che affidabili.
Il ruolo degli dèi capricciosi in una cultura del consenso
Galina Krasskowa scrive che sia il suo dio, Odino, sia Dioniso, possono essere crudeli, brutali, selvaggi, anche sadici, e addirittura “violare gli accordi”. Il consenso è un valore centrale per molti Pagani, penso. C’è spazio nei nostri pantheon per gli dèi che violano gli accordi? Molti di noi venerano la natura anche se non rispetta i patti. Perché gli dèi dovrebbero essere diversi? Lo studioso ritualista di Cambridge Gilbert Murray, ha scritto a proposito  del Dioniso di Euripide:
“Ci sono al mondo cose che non appartengono al mondo della ragione, ma al di sopra e al di sotto di esso; cause di emozione, che non possiamo esprimere, che tendiamo a venerare, che forse sentiamo essere elementi preziosi nella vita. Queste cose sono Dèi o forme di Dio: non favolosi uomini immortali, ma ‘Cose che esistono’, cose totalmente non umane e non morali, che portano all’uomo benessere o fanno a pezzi la sua vita senza che la loro serenità ne sia turbata”
E’ facile vedere come dèi come Dioniso e Odino siano conformi a questa descrizione, ma penso che essa si adatti potenzialmente a tuti gli dèi. Prendete Afrodite, ad esempio, definita “dea dell’amore”, forse una delle dee pagane più banalizzate nella cultura popolare. Ma nei miti essa è responsabile della rovina di molti uomini e dèi che hanno incrociato la sua strada. Una cosa che si apprende dai miti è che gli dèi possono portare rovina allo stesso modo in cui portano vantaggi.
Christine Downing, autrice di Gods in our Midst (Gli dèi tra noi) e The Goddess: Mythological Images of the Feminine (La dea: immagini mitologiche del femminile) descrive gli dèi come “gli aspetti immortali, permanenti e ineluttabili del mondo”. Penso che questa definizione si possa applicare sia agli dèi dei politeisti devozionali, sia a quelli Neo-Pagani. Qualsiasi nome vogliamo dar loro, sia esso ‘dèi’, ‘archetipi’, ‘forze della natura’, ‘immensità’ o ‘cose che sono’, mi pare che debbano essere rispettati – ma non ci si debba affidare a loro. Rispettati non nel modo in cui i cristiani rispettano il loro benevolo dio-padre, ma più nel modo in cui gli antichi enoteisti israeliti rispettavano Yahweh, che poteva essere crudele e capriccioso. Ricordate la storia di Uzzah, che fu folgorato quando toccò l’arca dell’alleanza per raddrizzarla quando i buoi che la trasportavano inciamparono, in 2 Samuele 6? Yahweh è come una terribile forza della natura che può uccidere indiscriminatamente (e comportarsi come una madre amorevole).
Non sto dicendo che gli dèi debbano sempre essere  temuti. Posso gioire di un temporale, e rispettarlo ugualmente. Sono d’accordo con John Beckett, quando scrive che “possiamo confidare nel fatto che gli dèi sono quello che sono” – non pronti a rispondere a tutte le nostre preghiere, non dediti al nostro miglior interesse, ma “possiamo credere che gli dèi sono gli dèi” Sono d’accordo, ma penso che non si stia dicendo un granché. Posso confidare nel fatto che un temporale sia un temporale o che l’oceano sia l’oceano, il che significa che non mi fido molto di loro. Ma li rispetto comunque e onoro la loro bellezza e potenza.
Quanto sono serio?
“Non è tutta un’iperbole o una metafora, John?” potreste chiedere. Se una persona come me crede che gli dèi siano forze naturali o archetipi psicologici, che importanza ha se li rispetto o no? Se gli dèi non ci garantiscono benefici divini, qual è l’utilità dell’essere pii? Risponderei che il rispetto è comunque l’attitudine appropriata nei confronti delle forze della natura e degli archetipi psicologici. Se non si rispettano i fulmini e l’oceano, possono uccidere. L’attitudine determina l’azione. E un’attitudine non pia verso la natura può uccidermi. Se tratto l’oceano come se fosse solo il benevolo e accogliente utero della Dea, sottovaluterò i suoi pericoli, le correnti nascoste, i predatori in agguato. L’oceano può non volermi uccidere, ma io sarei morto comunque.
E riguardo agli archetipi? Carl Jung chiamò gli archetipi ‘dèi’ e paragonò la psiche a ‘un Olimpo pieno di dèi che vogliono essere propiziati, serviti, temuti e riveriti’. Come possono gli archetipi essere pericolosi? Sono pericolosi se si dà per scontato che siano benevoli. Pensate a cosa può succedere se trattassi Afrodite come se fosse solo la zuccherosa dea dell’ “amore”, se confondessi Afrodite Pandemos (la lussuria) con Afrodite Urania (l’amore universale). Questo non porterebbe il disastro nella mia vita personale? O cosa succederebbe se trattassi il potere tossico di Dioniso – sotto forma di droghe, alcool o sesso – come un bene inequivocabile? Oppure prendete Morrigan, dea della sovranità, che sembra aver attratto molti seguaci negli ultimi anni. Spesso questo culto sembra prendere la forma di una personale espressione di sovranità. Ma il culto unilaterale della sovranità personale può minare quei legami che creano una comunità, che è qualcosa di cui noi Pagani dobbiamo essere particolarmente consapevoli (Ricordate che la sovranità nel mito celtico significa non indipendenza, ma un tipo particolare di relazione con la comunità e la terra) .
Solo il pantheon è degno di venerazione
E gli dèi possono essere pericolosi anche quando non si bilanciano l’un l’altro. Cosa succede quando l’estasi dionisiaca non è bilanciata dall’influenza moderatrice della fredda razionalità apollinea? O quando la rabbia da berserker di Odino non è mitigata dall’influenza radicante di Frigga? Questi poteri archetipici non faranno a pezzi la mia vita “senza che la loro serenità ne sia turbata”, come scrive Murray?
Questa è una cosa che il Paganesimo mi ha insegnato rispetto alla religione da cui provengo, il cristianesimo: il problema con Yahweh non è tanto che sia un cattivo dio, è che crede di essere l’unico. Il tipo di protestantesimo che praticavo (il mormonismo, nella fattispecie) si è liberato della Trinità, dei santi, e della madre di dio, per non parlare degli spiriti della natura – lasciando solo il dio geloso senza nessuno al sui fianco (Certo, i Mormoni credono in una Madre Celeste, ma non ha nome, non può essere pregata, e si nomina solo a bassa voce) il Paganesimo, soprattutto il Neopaganesimo Junghiano, mi ha insegnato che è meglio essere completi che buoni – se per “buoni” significa monodimensionali.
In questo senso, solo gli dèi nella loro pluralità sono degni di essere venerati, non il singolo dio. In altre parole, solo del pantheon, non degli dèi, ci si può fidare. Christine Downing scrive “Al centro del politeismo c’è la convinzione che solo la totalità degli dei e delle dee costituisce il mondo divino… Ci sono molti miti che rivelano quanto possa essere fatale per noi umani sottovalutare uno di essi, mancare di tributargli il dovuto onore”. Per noi, essere irrispettosi verso uno qualsiasi tra gli dei, continua la Downing, è “limitare la ricchezza del mondo e la pienezza dell’essere umano”.
Naturalmente, non posso venerare tutti gli dèi tutto il tempo. Non posso nemmeno venerare tutti gli dèidi un certo pantheon tutto il tempo. Ma posso essere consapevole, anche se la mia attenzione viene attirata da un dio in particolare in un certo momento, che ogni divinità esiste in un contesto sacro – un pantheon – che include altri poteri che riportano l’equilibrio. Posso ricordarmi di questo nell’onorare dèi differenti nelle differenti stagioni o in diversi momenti del giorno. Posso farlo onorando nei miei rituali quello che i druidi dell’ADF (A Druid Fellowship – Un’organizzazione di druidi) chiamano “gli esterni” e che i Greci chiamavano Agnostos Theos, il dio sconosciuto. Posso farlo celebrando il fatto che ogni dio o dea ha il proprio aspetto oscuroanche il più apparentemente benigno degli dèi.
Sacerdozio pagano e laicità
Naturalmente ci saranno sempre coloro che saranno chiamati ad essere sacerdoti e sacerdotesse (o anche consorti del dio), dedicati esclusivamente ad un dio o all’altro. Ma forse questi individui devono essere avvicinati con lo stesso riserbo e la stessa cautela con cui ci avviciniamo agli dèi. Si dice che Emerson abbia detto
“Gli dèi che veneriamo scrivono il loro nome sulla nostra faccia, stanne pur certo… Perciò dobbiamo stare attenti a quello che stiamo venerando, perché diventeremo ciò che veneriamo”
La seguace di Odino, Galina Krasskova, sembra suggerire altrettanto quando scrive: “Addentrarsi in Dèi come Odino, e come Dioniso… porta con sé la possibilità di trovare elementi della natura di quegli stessi Dèi in noi stessi, venendo, in misura maggiore o minore, trasformati da Essi, dal contatto, trasformati fino a diventare un po’ più simili a Loro nell’aspetto”. Cosa comporta questo quando il vostro dio è un “dio selvaggio”?. Immagino che questo possa essere una buona cosa, così come esiste una rabbia motivata – ma non è un bene in assoluto. Il culto esclusivo di una sola divinità può essere patologico. Considerate questo esempio, di un certo sacerdote di Dioniso:
“Nello spirito di Savonarola e Charles Manson
penso che il culto della celebrità stia distruggendo il Paganesimo
perciò voglio diventare io stesso una celebrità pagana.
Esatto. Voglio infilare il mio c***o dispettoso in quella m***a
cosicché l’intera istituzione finisca per sembrare volgare e assurda
e la gente non abbia altra scelta che fuggire dalle comunità di internet
e tornare alla solitudine dei loro santuari, soli con i loro dèi
e non pensare più a quello che le autorità pensano.
Per uccidere ciò che odi, devi diventare uguale.
Non sarà facile. Dovrò suscitare un sacco di dramma.
Persone innocenti si scotteranno.
Ma se la sono cercata. Se ti fai pecora,
stai chiedendo di essere tosato…”
Fortunatamente, non tutti i sacerdoti Pagani si identificano così completamente con l’oggetto della loro devozione, e non tutte le divinità sono distruttive come Dioniso. Ma come neopagano junghiano, penso che il pericolo stia sempre e comunque nel concentrarsi esclusivamente su un dio o una dea. Sembra che di recente sia di moda nell’ambiente pagano dichiarare un crescente livello di intimità con i singoli dèi (si veda il proliferare dei consorti della divinità) – il che è bizzarro in una comunità che si distingue primariamente per il suo essere politeista. Sacerdoti e sacerdotesse sono una parte essenziale della nostra comunità, ma penso che sia un bene che molti di noi non lo siano (o almeno non nel senso tradizionale del termine). Secondo me un numero alto di pagani ‘laici’ è una buona cosa. Una comunità di veri sacerdoti, come una comunità di sciamani, non sarebbe una comunità – sarebbe un manicomio.
Per quanto mi riguarda, sono contento che nessun dio Pagano mi abbia scelto. So come sia questo genere di scelta divina. So cosa vuol dire essere “posseduti” da un dio (Yahweh). Per me è stato più una malattia che una benedizione. E ho scoperto che l’unico rimedio per questo è stato aprire gli occhi per scoprire “un mondo pieno di dèi”.
[*Nota: niente di quello che ho scritto vuol dire che le esperienze dei politeisti devozionali e dei Neopagani siano confrontabili. A volte non lo sono, come ho imparato dalle discussioni con molti politeisti devozionali. A volte non sono del tutto imparagonabili, come ho imparato dagli schietti articoli di Joshua Tenpenny a proposito della sua comunicazione con gli dèi qui e qui. Non voglio neanche dire che tutti i Neopagani fanno esperienza degli dèi allo stesso modo, o che la mia esperienza sia universale.]
[Nota dell’autore: ho rimosso i link a molti blog di politeisti devozionali per evitare polemiche. Se volete la fonte di una specifica citazione, contattate l’autore.]


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