mercoledì 4 maggio 2016

Cristianesimo, paganesimo e individualità religiosa

Si sente a volte dire che il cristianesimo avrebbe introdotto l'io nella religione: a differenza di quelle antiche che erano collettive, il cristianesimo richiede adesione individuale, personale. In realtà si potrebbe piuttosto dire il contrario: il cristianesimo introduce la religione (nel senso cristiano di legame) nell'io. Infatti in primo luogo non è che nelle religioni precristiane l'io non partecipasse alla religione (la religio nel senso ciceroniano del termine, che è il mio preferito, è l'attenzione, lo scrupolo, nel gesto religioso, e da dove viene questa attenzione se non da un io che compie il gesto?), in secondo luogo la fede e l'adesione richieste dal cristianesimo sono atti prevalentemente emotivi che per essere veri devono essere totali e totalmente aderenti al dogma, altrimenti si è in errore, si è peccatori (manchevoli). 
Prima del cristianesimo si richiedeva a tutti l'adesione ai riti civici in quanto questi costituivano riconoscimento pubblico della propria appartenenza ad una comunità e dell'interesse al benessere di questa; la mancanza di guerre di religione e l'istituto dell'interpretatio rendevano il rito civico non esauriente della religiosità dei singoli e relativamente alla sfera privata ed emotiva non c'era ingerenza. Si poteva, ad esempio, aderire ad una particolare corrente filosofica con una determinata opinione sugli Dèi, ma non per questo si era in errore, se non agli occhi di chi aderiva alla corrente rivale. Il tutto rimaneva nella sfera privata, dove l'adozione di culti particolari, a qualsiasi titolo, era consentita purché non in contrasto con le leggi.
Nel considerare questo e per capirlo, teniamo presente che, nella religione romana in particolare il rito è un contratto, che come un atto giuridico deve essere fatto secondo i modi stabiliti per essere valido. Per questo in particolare i romani ci appaiono così conservatori e attenti alla forma: se c'è errore di forma in un contratto, ad esempio una compravendita, il contratto è nullo o, nel peggiore dei casi in cui l'errore è commesso appositamente, siamo di fronte a un tentativo di truffa di una delle due parti. La collettività non può non stipulare un contratto o dei contratti con gli Dèi: i riti sono i modi in cui questi cittadini particolari che sono gli Dèi (ricordiamoci che gli Dèi stranieri potevano essere invitati a Roma perché la favorissero contro la loro comunità d'origine) partecipano alla vita della collettività. Ma il singolo non è obbligato al di là della partecipazione alla comunità ad altri gesti religiosi: se non ritiene di farlo non per questo è immorale, magari qualcuno potrà ritenerlo sconsiderato, ma non colpevole. Nel momento in cui compie il gesto religioso, il singolo è tenuto alla religio, ma questa è ben diversa dall'abbandono e dalla rigida morale che l'intromissione del cristianesimo nella sfera privata comporta.
Dopo il cristianesimo è chiaro che relegare la sfera religiosa al privato è necessario: non è certo il ripristino di una dimensione "statale" della religione anche pagana, come auspicato quasi dieci anni fa da alcuni gruppi nordeuropei, che può tutelare la compresenza e l'eguale espressione di più sistemi religiosi nella cornice di una società civile. Al contrario è la riduzione del sentimento religioso del singolo al margine di una società civile che si fondi non sulla prevaricazione di un io cristiano/monoteista sugli altri, ma su principi di equità e libertà.
Come questi principi arrivino alla società civile non certo dal cristianesimo, è un'altra storia e (forse) la si dovrà raccontare un'altra volta.

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